la sagrada familia e il ruolo della donna nella società moderna

ci ha spiegato che la sua azienda si schiera accanto alla “famiglia sacrale” e che gli omosessuali possono fare quello che vogliono “senza recare disturbo”.

ora, io la sua pasta non la mangio, di norma. non per motivi ideologici, ma perchè mi piace meno di altre. diciamo che la compro se sono in vacanza all’estero, perchè altro, fuori di qui, non si trova. mangio i suoi biscotti (no, io no, chè non sono molto biscottara, ma i miei figli sì), non di preferenza (anche qui, ci piacciono di più i novellini o le gocciole), ma li mangio. sorvolando sul gusto, però, che un personaggio che dirige una delle aziende più grosse in italia (nel mondo? forse, anche) si permetta di dire ‘ste cazzate, mi fa venire l’eczema.

non faccio parte di una famiglia sacrale. mi ero anche sposata in chiesa, ma ora mi ritrovo a far parte di una famiglia composta da mamma, figlio e figlio. e, per parte della settimana da mamma, figlio, figlio e papà con figlio e figlia. mamma e papà, però, sono mamma per due e papà per gli altri due. non siamo i soli. accanto a me vive un’altra famiglia a metà, di fronte un’altra. sulle famiglie degli amici dei miei figli sorvolo, perchè credo che i non sacrali battano i sacrali alla grande. sopra di me, invece, vivono due belle donne che si amano e che non possono adottare perchè in italia si preferisce lasciare i bambini in casa famiglia, piuttosto che lasciare che siano adottati da genitori gay o da genitori single. scelte. scelte che non condivido, ma che resteranno in vigore finchè ci sarà qualcuno che la pensa come quel simpatico capellone che fa la pasta blu con l’etichetta rossa e bianca.

lo ascoltavo, mentre parlava (ero in macchina: ho pure rischiato di finire contro il bus, per colpa sua), e mi veniva l’eczema dappertutto.

sì, perchè, in mezzo a queste due simpaticissime, bigotte, omofobe cazzate, ha sentito il bisogno anche di parlare della donna, la donna che è “una persona fondamentale per la pubblicità” e che “in tutti i paesi del mondo è estremamente usata”. usata. usata. usata come si usa un fazzoletto di carta? usata come si usano un paio di mutande? usata. guido, guidino mio, amore della mamma, la mia maestra diceva: “pensa, prima di parlare”. io ti dico, invece, pensa (se ci riesci, perchè il dubbio, mi permetterai, è lecito), poi, dopo che hai pensato, taci, fa’ un piacere.

mi fermo. mi fermo e continuo a grattarmi l’eczema che quel deficiente mi ha fatto venire. e vi lascio con questa meravigliosa risposta:

garofalo1

dovere di cronaca

la Canterina ha iniziato la scuola elementare. ha una dolcissima maestra e un’altrettanto dolce insegnante di sostegno, che l’affianca per tutto il giorno. no, per darvi idea della gravità del suo handicap. la Canterina è bella, molto: è di quelle bambine che attirano l’attenzione, con un viso da pubblicità e lo sguardo sognante. peccato che sia sognante perchè così lo rende l’autismo.

quando a scuola ci andavo io, capitò in classe con me un ragazzo autistico. era enorme – ricordo che la sua stazza fu la prima cosa a colpirmi. quando si arrabbiava, faceva paura: non perchè riversasse la sua rabbia contro di noi (che ci fossimo o meno, in quei momenti, per lui non era importante), ma perchè era così grande, così forte che avevamo paura si facesse del male sbattendo da qualche parte. Lupo, si chiamava Lupo. condividere con lui 8 anni sui banchi di scuola ci ha dato tanto – siamo in molti, ancora adesso, a cercare il modo di andare a trovarlo, a distanza di tanto.

ecco.

in questi giorni, in rete, gira la notizia di una banda di stronzi che han tolto i figli da scuola perchè in classe avevano un compagno autistico. gli auguri che ho mandato a questi geni ve li risparmio, ma, se ne andasse a segno anche solo uno, sarei felice. davvero. il motivo per cui ho scritto di Canterina (che di autismo a solo dei tratti, ma che son tratti pesanti), è perchè in italia, nel mondo, non sono tutti stronzi come quei genitori: Canterina è stata accolta dai suoi compagni con affetto, con dolcezza, con un calore che riesce a farla riemergere dal suo mondo, spesso. quando arriva, ci sono sempre due amichette ad accoglierla: la prendono per mano e a me non resta che seguirla con la sua cartella in spalla, perchè altro ruolo, a quel punto, non ho. all’uscita, c’è sempre qualcuno che la chiama per salutarla, per darle un bacio. e lei, anche lì, esce dal suo mondo, guarda l’amichetto di turno, a volte sorride. l’affetto dei coetanei, la loro partecipazione, il lavoro paziente delle maestre sono una manna per i bambini come lei: l’autismo è una bestia brutta: non fa del male a loro, ma li toglie a noi: tutto quello che porta i nostri bambini ad interagire con il mondo reale è un regalo, un regalo enorme.

di nuovo, ecco.

ho scritto per ringraziare tutti quei bambini che prendono per mano, quegli insegnanti che non si arrendono, quei bidelli che accolgono con un sorriso, quei baristi che imparano che ti piace il succo di albicocca anche se tu lo dici una volta su mille e anche quei genitori che hanno capito che un bambino speciale è una ricchezza, non un freno.

diarrea e ramadam

solo una volpe del deserto come me può offrire un panino (non al prosciutto, almeno quello) a Mario, mussulmano, in pieno ramadam. ma Mario (perchè li chiama tutti così, gli italiani) ride, perdona, apprezza il gesto e chiede, invece, se gli tengo il borsone rosa a fiori dove tiene le borse da vendere, mentre si fa un tuffo. così, si parla, si fa amicizia. si scopre che ha pure una laurea (in filosofia…), in nigeria, dove ha lasciato la moglie e tre bambini, come te, vedi?, solo che tu li hai qui vicino, mi dice. e si scopre che quel tipo muscoloso e abbronzatissimo (con la faccia da culo, letteralmente) che gli compra un sacco di roba è un poliziotto. in vacanza. ah, però, coerente, l’uomo delle forze dell’ordine, commento. va be’, dai, almeno tu ci guadagni qualcosa, no?, chiosa la Pimpa. e, così, si scopre che quella faccia da culo (a questo punto non solo per i lineamenti) le borse non le paga. se le fa regalare. ma scherzi, Mario?! ma mandalo a cagare, scusa!! no, non lo fa, perchè, dice, almeno non mi denuncia.

squallido soggetto. che i soldi che risparmi per compare le borse (e le scarpe todds e le ciabatte gucci, pare) ti vadano tutti in imodium.

(e, quindi, sì, siamo di nuovo, brevemente, in vacanza)

per amore, solo per amore

ma tu l’hai mai tradito l’Ex?

no.

per amore? per rispetto? per mancanza di opportunità?

– nessuna di queste. è che avevo letto un libro. lei muore tra le braccia dell’amante. mi è venuta una paura. paura che potesse succedermi e paura che, quindi, i miei figli l’avrebbero saputo. in pratica, non l’ho mai tradito per paura che i miei figli potessero giudicarmi male.

 

 

niente quanto un buon vino, un porro e quattro zucchine

ci ha meditato sopra, ha capito che la mia dichiarazione d’amore e indipendenza era comunque una dichiarazione d’amore e l’ha accettata per quello che è, come accetta me per quello che sono, con tutti i miei (e son tanti) difetti.

e ha pure trovato che, tutto sommato, sia meglio sentirsi dire “ti amo, ma sto bene con me stessa indipendentemente da te” ed essere certi che si ha a che fare con una persona onesta, piuttosto che trovarsi, dopo anni di dichiarazioni di amore imperituro e di totale dipendenza da te, a scoprire che tua moglie ti ha cornificato a destra e a manca e si è pure fatta sputtanare in giro da quelli con cui ci ha provato e non c’è riuscita (i padri di due cari amici dei tuoi figli, pure).

e io, che son stronza quel che basta, ma che gli voglio un gran bene, me lo sono coccolata con una bottiglia di un vino che adoro

2013-07-04 20.56.05

e con un proprio buonino

BASMATI PILAF CON PORRO E ZUCCHINE

per preparare questo piatto è assolutamente necessario aver già aperto il vino (io vi consiglio il cotes du rhone) ed aver messo a palla lo stereo, se no, col caldo porco che fa, col cavolo che lo accendete, il forno.

bevetevi un buon sorso affacciati sul terrazzo, inspirate a fondo, rientrate in cucina e accendete il forno a 190°. mentre si scalda, mettete sul fuoco uno scaldalatte con 400 g di acqua, il verde del porro, una foglia di alloro, un tocchetto di sedano con foglie, i culetti degli zucchini, un pezzo di carota e un pizzico di sale grosso. portate al bollore. nel frattempo, triterete la parte bianca di un porro a rondelle fini e ne metterete metà sul fuoco, nella pentola in cui poi cuocerete il riso, con un cucchiaio d’olio e due d’acqua. stufate il porro. mentre si stufa, prendete 200 g di riso basmati (così ve ne avanza un po’ per il pranzo al lavoro del giorno dopo) e sciacquatelo abbondantemente sotto l’acqua. il pilaf è ottimo con tutti i tipi di riso, ma io avevo voglia di un riso profumato, visto il vino che avevo aperto. quando l’acqua sarà pulita, scolate il riso e versatelo sopra il porro per farlo brillare. il brodo sarà pronto: versatelo sul riso, coprite la pentola con un foglio di alluminio e mettete in forno per 20 minuti. 20. coperto. non fate di testa vostra e fidatevi: dopo 20 minuti il riso sarà cotto e il brodo sarà assorbito. e vale per qualsiasi tipo di riso, come insegna il mio papà!

prendete le zucchine, che avrete già “sculettato” per mettere i culetti nel brodo. tagliatele a metà per lungo e poi a fettine. mettetele in una padella col mezzo porro rimasto e due cucchiai di olio e cuocete, coperte, mescolando di tanto in tanto. verso la fine della cottura, salate e pepate abbondantemete.

vi avanzerà giusto il tempo di preparare la tavola in terrazza, prima che sia pronto il riso. tiratelo fuori dal forno, scoperchiatelo e unite le zucchine.

uscite all’aria aperta e pappatevelo cercando di spostare il discorso dal tema “corna”, aiutati dal vino!

2013-07-04 20.40.52

nella foto le zucchine hanno l’aria un po’ pallida, ma credo sia dovuto al fatto che, ormai, fuori la luce era quella che era: in realtà, sono belle rosolate…

un paio di occhiali rosa per guardare il mondo

il mio professore di filosofia del liceo, uomo saggio e più volte bastonato dalla sorte, diceva spesso che, per vivere bene, avremmo avuto bisogno di un paio di occhiali rosa attraverso i quali guardare il mondo.

mi è venuto in mente sabato, quando li ho visti. mi son detta che, sì, in effetti, in questo periodo, anche se di occhiali, da vista e non, ne ho per un battaglione, mi servono proprio – e mi son serviti subito. perchè devo averlo amato davvero tanto l’Ex, se ancora oggi mi fa star male vedere che lui sta male. è il rancore che lo fa soffrire, il rancore nei miei confronti, quello stesso rancore che lo porta a vendicarsi sul Mio Grande perchè ce l’ha sotto mano. ma a me fa pena lo stesso. e non c’ho dormito a sapere che era rimasto sotto casa per controllare cosa facessimo, che aveva interrogato il Mio Piccolo per scoprire quanto spesso Lui sia a casa nostra. mi fa male. vorrei che fosse sereno, che avesse qualcuno accanto. o che ci avesse rimpianto prima, che avesse cercato di cambiare allora, quando ancora era possibile. lo guardo, oggi, che gioca con il Mio Piccolo, e mi dico che con il Mio Grande non l’ha fatto mai. mi fa male vedere che inizia a capire. ma ora. e ora è tardi.

alle tre ero in piedi. perfino gli animali di casa mi guardavano storto. mi son rinchiusa nella stanzetta che uso come laboratorio/studio/pensatoio e mi son messa a disegnare, tagliare, cucire, con le cuffie nelle orecchie, per non pensare.

l’idea era di fare un porta pannolini per la mamma di un compagno di classe del Mio Piccolo, che ha appena sfornato un pargolo. questo:

2013-06-02 16.11.07

(il colore è smarrito, ma l’ho fotografato di notte…)

e poi, deposti gli occhiali rosa che mi avevano aiutato, mi son detta che, porelli, non avevano nemmeno una custodia (li ho presi in farmacia: hanno un’agghiacciante scatoletta di plastica trasparente) e allora, via, con gli avanzi del sacco e qualche altro ritaglio (perchè ha l’interno a fiorellini, vi prego di notare la chiccheria!), ho fatto la casetta degli occhiali, foderata con un pezzo di asciugamano ormai distrutto (che ha perso i peletti che vedete sul panno)

2013-06-02 18.17.38

2013-06-03 10.11.54

ci piango ancora, sai.

pensieri e acciughe

un anno fa, aprivo il blog. e non me ne sarei neppure ricordata, se non ci avesse pensato wordpress: era maggio, oggi pare novembre. un anno fa. un anno fa eravamo noi da pochi mesi e tutto sembrava filare meravigliosamente liscio. un anno fa l’Ex era in un mondo tutto suo ed Emo sembrava voler benedire la nostra unione. un anno. e ora? guardaci qui. mi trovo con un figlio adolescente che è difficile crescere – e lo è ancora di più perchè suo padre ci mette del suo per rovinargli la vita – e con un figlio più piccolo che avverte la discrasia tra come il padre è con lui e com’è con sua mamma, con suo fratello, e non riesce ad incastrare i due pezzi del puzzle. mi trovo con un compagno che soffre perchè vede soffrire i suoi figli, cui manca la mamma, che c’è, ma è come se non ci fosse. e mi trovo a dover fare da mamma a due ragazzini di cui vorrei essere solo matrigna, con il fastidio che provo quando Sua Piccola corre ad abbracciarmi, perchè so che vorrebbe che fossi io sua mamma e non è giusto. pensavo fosse amore e invece era un calesse. o è amore davvero, ma con un calesse che pesa, se devi tirarlo tu, senza i cavalli. un anno fa avevo ho aperto il blog per parlare di noi, con i cuoricini tutt’intorno, e con l’incantato stupore di chi si trova in una vita nuova. ora mi accorgo che di Lui parlo sempre meno, perchè dovrei pormi domande cui non saprei rispondere, perchè quando c’è, quando mi abbraccia, sento di amarlo, ma vivo benissimo anche quando non c’è – a volte meglio. forse davvero sarebbe stato tutto più semplice se avessi trovato un uomo senza figli. perchè voglio bene davvero a quei bambini, ma mi pesa trovarmi in un ruolo che non è il mio: vorrei essere mamma dei miei e qualcosa di meno impegnativo per loro. o mamma a tutto tondo anche per loro, ma non questa cosa ibrida che tornano da lei per metà del tempo e restano abbandonati a se stessi (senza la doccia per una settimana intera?! con lo sport in mezzo?) e mi tornano con gli stessi vestiti, coi calzini bucati, che lei non controlla e Lui si arrabbia con loro, che sono troppo piccoli per badare a se stessi. e mi fa incazzare che si arrabbi con loro e ci litigo io, per proteggerli, e Lui si mette a piangere e mi dice che si vergogna, si vergogna di come è diventata Emo, si vergogna di non avere la forza di chiedere che vengano affidati solo a lui, si vergogna di non sapere cosa fare. e io, che vorrei prendere il telefono e dirle tutto l’animo mio, abbozzo, lavo bambini e vestiti e fingo di non sentire i discorsi che fanno coi miei, i confronti dai quali io esco vincitrice e chi condanna Emo sono proprio i suoi figli. mi fa rabbia. mi sento il cuculo che ruba il nido e non lo voglio il suo nido: ho il mio e mi basta. vorrei essere la matrigna e basta.

e mi incarto in questo vortice di pensieri e sentimenti e rancori e mi accorgo che, se continuo, magari scoperchio quel vaso che gli dei avevano raccomandato di non aprire, e poi son cazzi. e allora decido di raccontarvi del pranzo che, ieri sera, mi son preparata per oggi. ma, siccome il telefono risente dell’umore, non ha spedito le foto. e io le ho cancellate prima di accorgermente.

sappiate che c’entravano le acciughe, gli asparagi, la pasta. e basta.

(che poi, ‘sta canzone, non è nemmeno dedicata a Lui, ma a milioni di anni fa, alla persona da cui ebbe inizio tutto, matrimonio, divorzio e Lui compresi)

 

piccoli imbecilli crescono (supportati dai grandi)

in classe del Mio Piccolo è arrivato, da poco, un bambino nuovo, Piccolo Genio. Piccolo Genio è un bambino che se ne sta molto per i fatti suoi: adora costruire, fa progetti degni di un cervello adulto e costruisce, col lego, col legno, con quello che trova. è un piacere guardarlo lavorare. per noi grandi: per i bambini, si sa, il fascino svanisce in fretta, che a stare fermi troppo a lungo si annoiano. il Mio Piccolo l’ha invitato a casa un paio di volte, poi basta: vanno d’accordo, ma nulla più. l’altro giorno, il Mio Piccolo esce da scuola incavolato come una bestia: vien fuori che due suoi compagni l’hanno preso in giro per una cavolata e che lui, plateale come sempre, ha deciso di cambiare scuola. si parla, ci si fa raccontare, lo si placa, alla fine. si conclude la discussione con un pragmatico a volte i bambini sanno essere antipatici davvero. ma, poi, se riesci a fregartene, va tutto a posto.

sì, dice, ma qualche volta non smettono. con Piccolo Genio non smettono.

indago. vien fuori che Piccolo Genio è preso di punta da un gruppetto di maschi e da un gruppetto di femmine. gli dicono che è sporco e puzza.

Piccolo Genio ha una mamma di una bellezza spaziale: viene da un’isola dei caraibi e, a guardarla, ti manca il fiato. il papà è italiano. Piccolo Genio ha la pelle un po’ scura. mi monta dentro una rabbia che non avete idea: piccoli razzisti di merda, vi sistemo io! spiego a Mio Piccolo che, in questo caso, fare i nomi dei colpevoli non è fare la spia, ma aiutare un amico in difficoltà. a fatica, fa i nomi, con gli occhi bassi (perchè in mezzo ci sono due dei suoi amici più cari) e mi spiega che le maestre non se ne accorgono perchè lo fanno quando sono in giardino, a ricreazione. chiamo un’altra mamma, l’Austriaca: la conosco bene: le racconto, le chiedo di indagare con sua figlia (il cui nome non c’era nella lista del mio delatore), di chiederle anche (perchè il dubbio, con le meccaniche del gruppo, viene) se ci sia anche il Mio Piccolo tra i membri del ku klux klan. indaga, conferma (e nega la partecipazione del mio, thanks god), mi sostiene, indignata, nel mio desiderio di far qualcosa. allora parto, lancia in resta, e vado dalla maestra. ci resta malissimo, si vede. si scusa, è umiliata, promette di tenere sotto controllo la situazione, di marcare Piccolo Genio a vista, perchè i nomi dei colpevoli io non glieli ho fatti, ma non dubita della veridicità del racconto.

intanto, io scrivo. una lunga mail, a tutti i genitori, in cui racconto di chiacchiere tra mio figlio e altri due, di brandelli di conversazione da cui ho captato questo: Piccolo Genio è preso di mira ed è insultato in un modo che mi disgusta. mi chiamano subito in quattro e sono i genitori di bambini che non c’entrano: dimmi se c’è il mio nel gruppo, che lo rovino, dice, moderato come sempre, il Filosofo. poi altre due mamme, l’Igegnera e la Collega, tanto di cappello, scrivono a tutti di aver indagato e di aver scoperto che le loro bambine sì, lo hanno insultato, lo hanno preso in giro. si scusano, dicono di sentirsi fallite per come sono cresciute le loro figlie. io trovo, invece, che stiano facendo un buon lavoro, se le figlie hanno confessato, hanno chiesto scusa, hanno dimostrato di aver capito. trovo che le meccaniche del gruppo siano pericolose e che nessuno di noi genitori – dico – debba sentirsi in colpa: solo, dobbiamo parlare coi nostri figli, spiegargli cosa voglia dire essere “l’altro”, l’escluso, l’emarginato.

uno alla volta, mi rispondono i genitori dei “colpevoli”. il succo delle loro mail è che il loro bambino di sicuro non c’entra, che è buono, carino, gentile con tutti e che non credono sia giusto caricarli di questo peso. se davvero (ma dubitano) qualcuno ha usato quegli epiteti è di certo perchè Piccolo Genio si è comportato male con gli altri.

io non ci ho dormito. perchè ho capito che posso parlare quanto voglio con mio figlio, ma se i bambini che frequenta crescono con dei genitori così, c’è davvero poco da sperare. ho passato la notte a whatsappare con l’Ingegnera, la Collega, l’Austriaca e il Filosofo, che ha saggiamente concluso che la colpa di tutto questo è di Piccolo Genio che, maleducato com’è, non ringrazia ogni giorno i nostri candidi figli che lo lasciano respirare la loro stessa aria.

la terza guerra mondiale

dopo un esordio curioso, durante il quale avrebbe preteso da me il racconto nei minimi dettagli del mio rapporto con Lui, da qualche settimana, Emo non mi saluta nemmeno più. ci vediamo quasi tutte le mattine: io saluto, l’Americano risponde, Emo no. funziona così.

perchè non chiedi?, direte voi. non so. forse perchè so di non averle fatto niente, forse perchè, in fondo, di considerarla amica non son più capace da un bel po’, da prima che Lui entrasse nella mia vita.

ok, allora, perchè non te ne strasbatti alla grande?, ribatterete. ecco: io lo farei, anche, come ho fatto sino ad oggi, ma… domenica c’è la comunione della Sua Piccola. e la Sua Piccola, ovviamente, vuole che matrigna e fratellastri svettino tra le tante teste in chiesa. ottimo! e mammina?

si profilano, allora, tre scenari:

1.- chiamo Emo e le dico che io, domenica, a ‘sta cazzo di comunione, ci vado. e scoppia la terza guerra mondiale;

2.- chiamo Lui, gli dico che non intendo andare alla comunione e, alla richiesta di spiegazioni, gli spiego che la sua ex bella non mi rivolge la parola. e scoppia la terza guerra mondiale;

3.- sollevo un casino epocale senza motivi, lancio accuse ad minchiam e mollo Lui prima di domenica. dopo di che, lunedì (o anche domenica sera, se i festeggiamenti finiscono in fretta), cerco di tornarci assieme, adducendo la semi(?)infermità mentale.

che faccio?

porta pazienza

non è mica giusto, però, sai? non è mica giusto che io viva nel terrore che tu faccia qualche tiro dei tuoi. non è mica giusto che io supplichi il Mio Piccolo di non chiamare le uova fatte in quel modo “uova alla Lui” perchè tu potresti non prenderla bene (anzi, perchè è certo che la prenderesti malissimo). non è mica giusto che, se suona il mio cellulare dopo le nove di sera, a me venga la tachicardia perchè ho paura che sia tu, ho paura di trovarmi catapultata nel maelstrom delle tue folli elucubrazioni sui torti che ti avrei fatto subire con la separazione.

no. non è giusto. lo so. ma non ne vengo fuori. e mi consolo sognando futuri migliori con i miei figli, anche a costo (scusami, amore mio) di riununciare a Lui. e mi consolo imbastendo rapide fughe (nei boschi, al mare, nel museo della città un po’ lontana) con i miei bambini, perchè sono loro che risentono dei dispetti che l’Ex fa a me (sì, perchè non ci riesco più a tener la bocca chiusa e, qualche volta, qualcosa mi scappa). o mi consolo, ed è meglio, cucinando per loro le cose che gli piacciono. come la nutella, che, fatta da me, diventa la

YOGELLA

la ricetta non è del tutto mia: l’ho trovata in rete mille mila anni fa, quando ancora frequentavo assiduamente i forum di cucina e l’ho modificata un pochino, per metterci meno grassi. si fa con il bimby. ci si mettono dentro 100 g di nocciole tostate, senza pellicina, assieme a 150 g di zucchero. si frullano per bene a velocità 7 per un minuto (interrompendo un paio di volte per recuperare in giro per il boccale i pezzetti di nocciole fuggiaschi). poi si aggiungono una tavoletta di cioccolata bianca e una fondente, rotte a pezzetti: si frulla di nuovo per un minuto, partendo da velocità 4 e arrivando a 7. si uniscono poi 70 g di olio di semi (spremuto a freddo) e 200 g di latte e si cuoce per 6 minuti, velocità 5, a 50°. finita la cottura, si frulla il tutto per 1 minuto a velocità 7-8.

viene buonissima. provatela. intanto, gustatevela con gli occhi (le biscofette non sono home made… perdonate la caduta di stile!), insieme alle foto delle nostre due ultime fughe.

2013-03-04 16.34.42

2013-03-05 17.42.23

al bosco della mesola (che vi consiglio!) e, più banalmente

2013-03-02 13.16.53

al lido.